2 Giugno 2018

La salita più romantica di sempre

Lasciare senza parole la tua dolce metà, come facevano già nel 1909, grazie a una vista spettacolare

La mia dannata macchina ha deciso di non voler più funzionare, non una di quelle volte in cui sono in città, a Varese, no, è successo proprio mentre stavo salendo al sacro monte.

All’inizio, come al solito, non ci ho faccio quasi caso, il motore dà qualche piccola avvisaglia di quello che ha intenzione di combinare, ma io lo ignoro, preso dalla musica.

La stazione radio sulla quale ero sintonizzato dà un pezzo di quando ero ragazzo. Le note mi portano indietro di almeno 20 anni, ci sono di nuovo io, senza barba a passeggiare per il centro.

Sulle note di Bohemian Rapsody però, proprio in un momento di gioia, la macchina si è fermata. Immobile.

Ho provato a chiamare chiunque, ma come ben sai, questi sono i momenti in cui tutti hanno da fare e nessuno pare essere in grado di rispondere al telefono.

Mi sono però reso conto di non essere distante dalla funicolare che porta direttamente al sacro monte. Insomma, nella sfortuna, non mi era andata così male.

Mentre percorrevo gli ultimi metri, maledicendo a mezza voce la macchina, la sfortuna e qualsiasi altra cosa, mentre pensavo a come avrei recuperato il mio mezzo di trasporto, a quale carrozzeria sarebbe stato meglio chiamare, a come tornare a casa quella sera, la vedo davanti a me. 

Non mi ricordavo nemmeno più come fosse fatta, o meglio, se qualcuno mi avesse chiesto in un qualsiasi momento: “com’è la funicolare per salire al Sacro Monte di Varese?”; avrei saputo rispondere: fantastica.

Le sensazioni tuttavia, i colori, le luci lì intorno, ecco descriverle è un’altra storia.

La struttura originale è come nel 1909, quando l’hanno aperta e messa in funzione per la prima volta. La piccola cupola esagonale giallognola ti fa dimenticare del 2018, dei suoi ritmi, di qualsiasi cosa, persino della tua macchina che ha deciso di dare forfait.

Accelero involontariamente il passo, come facevo da bambino, e attendo che arrivi la funicolare a portarmi su al Sacro Monte per poi arrivare al Borducan.

Erano ormai le 18, sapevo benissimo che su al ristorante tutti si stavano chiedendo dove sono e che le incombenze si accumulavano una sopra l’altra, ma non posso fare a meno di godermi il momento.

Dall’alto vedo venirmi incontro la cabina, metà verde e metà bianca, che si colora un po’ di rosso per il tramonto della sera.

Mentre guardo i binari in salita, i ciuffi d’erba comparire qua e là fra la struttura di metallo, una voce attira l’attenzione alle mie spalle. Ha un suono fresco, un tono allegro con una punta di ingenuità, che deve avermi fatto sorridere fra me e me.

Quando alzo lo sguardo, la vedo, mi guarda di rimando con un sorriso che mi è parso essere la punta di un iceberg. Un piccolo pezzetto in superficie, con tanto, ma tanto ghiaccio nascosto sotto l’oceano.

  • E chissà se c’è posto in terrazza. No devi vederla la terrazza, è incredibile, fa tutto il giro dell’albergo e vedi i laghi da lì. Ce ne sono 3, intorno.

Lui rimane impassibile, accenna forse un mezzo sorriso, sono troppo lontano per vederlo, sembra un ragazzo tutto d’un pezzo, un unico grande blocco di marmo.

Lei invece è così piena di energie e di sorrisi che quasi ci rimango male per la mancata risposta di lui, ma pare sia normale fra loro. Lei infatti non si lascia scoraggiare, lo avvicina, e mentre lui è lì a fissare il telefono, si insinua sotto il suo braccio e gli spunta con la bocca proprio accanto alla guancia.

  • Dai pezzetto di ghiaccio, molla sto telefono che te lo lancio dalla funicolare altrimenti.

Ride. Lo ripone nella tasca della giacca. La stringe e la bacia sulle guance, come se dovesse lasciarle lì una scorta di baci per quando ne dovesse aver bisogno.

In quel momento si sente rumore di ferro che tocca ferro, uno stridio morbido ma deciso e un omino basso, curvato dagli anni di lavoro, si affaccia dalla cabina verde e bianca che ha appena preso posto nella stazione.

  • Prego signori, se volete accomodarvi.

Mi alzo, faccio un paio di tentativi per passare il biglietto, e, superati i tornelli, mi siedo, pronto a salire al mio amato Sacro Monte.

Siamo in tre in quel cubotto metallico bicolore, ma per loro io non esisto, ci sono solo loro due, ed e rimane tutto così, immobile, finché non partiamo.

A quel punto lei si alza di scatto, come un gatto che ha visto qualcosa di lontano. Si ferma, zitta, senza quasi respirare e non riesce più a dire nulla.

Da dietro sembra un dipinto, i suoi capelli ricci, tagliati fin sopra le spalle sembrano pennellate su una tela che è lì da secoli e secoli.

Finché non cambia di nuovo le carte in tavola con un nuovo movimento repentino. Si gira di scatto e ha un sorriso sul volto che potrebbe sbriciolare qualsiasi montagna.

  • Dai alzati, vieni a vedere che roba. Ale, ti dico che devi alzarti. Ora.

Alessandro si alza e si mette di fianco a lei, con il sorriso di chi si è rassegnato a non avere momenti di quiete, ma continue tempeste di salti, baci e sorrisi.

Io da dove sono vedo loro e il paesaggio dietro di loro. Le loro sagome diventano nere nella luce del pomeriggio che se ne va. Il tramonto colpisce ogni singola parte di ciò che ci sta intorno, è come se lanciasse latte di vernice arancio su ogni cosa, su gli alberi, sul lago in fondo, abbracciato da dietro dalle montagne scure contro luce.

Persino lui rimane incantato, la guarda felice, le dà un bacio in bocca che dura un secondo:

  • Grazie amore, mi porti sempre in posti così belli, ma questo davvero, mi ricorda quando ero piccolo e andavo in montagna con nonno.

La funicolare si ferma, arrivata in cima e ci troviamo proprio nel cuore del Sacro Monte, io vengo colpito dalle incombenze e quel piccolo pezzo di romanticismo sparisce per un attimo, mentre corro verso l’albergo, pensando a tutto quello che ho da curare prima dell’arrivo degli ospiti quella sera.

Quegli ultimi fiori da sistemare sulla tavola, una controllata alle candele sulla terrazza, che siano tutte perfettamente al loro posto, che contribuiscano all’atmosfera che ogni giorno preparo e curo fino alla perfezione per chiunque faccia un passo dentro il Borducan.

Mi sento quasi in colpa, solo per un istante, a stampare nella mia mente il ricordo di quella coppia felice, a rubarlo quasi, ad averlo rovinato con la mia presenza, ma quando, dopo poco che mi sono tolto la giacca, sento la porta aprirsi e li vedo entrare nell’ingresso, capisco che non si sono nemmeno accorti di me.

Non esistevo per loro, non sono mai stato in quella funicolare. Erano soli nel loro percorso da piazzale Montanari al Sacro Monte, la funicolare e il paesaggio che gli ha permesso di vedere, hanno completamente cancellato ogni cosa intorno a loro.

Sono momenti rari quelli in cui esistiamo solo per l’altro.

Se sei pronto a questo, a fermare la corsa del mondo intorno a te e a regalare alla tua dolce metà un momento solo vostro, allora ci vediamo là, alla fine della salita, nel mio albergo proprio lì accanto o magari sulla funicolare direttamente, se la mia macchina deciderà di giocarmi un altro brutto scherzo.

In alto i calici!

Riccardo

 

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